Il lavoro Intelligente è arrivato, legalmente, in Italia con il Ddl sul lavoro Autonomo. Grazie a questa regolamentazione a livello nazionale il lavoratore flessibile dipendente non sarà più un fenomeno su cui chiudere un occhio, ma un ruolo disciplinato in tutto e per tutto.
Abbracciare lo smart working oggi significa poter usufruire della modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, con tutti i vantaggi che questa può offrire sia alle aziende che ai lavoratori.
Stando alla nuova normativa, la prestazione lavorativa ‘agile’ avverrà, in parte all’interno dei locali aziendali, in parte all’esterno. Addio quindi alla scrivania fissa, nonostante continuino a permanere i ferrei limiti massimi di orario giornaliero e settimanale.
A commentare il nuovo decreto sono soprattutto le agenzie di reclutamento personale. Secondo Carola Adami, CEO di Adami&Associati:
«Il concetto stesso di smart working ci ricorda che il termine ‘lavoro’ non è, e soprattutto non può essere, sinonimo di “luogo”. Colossi informatici come Google e Microsoft stanno sperimentando con successo il lavoro agile da anni, con dei risultati del tutto incoraggianti in fatto di efficienza e produttività. Dare ai propri dipendenti maggiore autonomia e flessibilità, infatti, porta molto spesso ad una crescita del senso di appartenenza nei confronti della propria impresa».
In Italia lo smart working è già stato sdoganato da molte aziende quali per l’appunto Microsoft Italia, ma anche Enel, Vodafone, Ferrovie dello Stato e Unicredit, solo per citarne alcune. Guardando ai risultati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, attualmente gl smart worker in Italia sono circa 250mila: tanti sono infatti i lavoratori dipendenti che possono decidere sostanzialmente in autonomia i propri orari, i propri strumenti e le proprie postazioni di lavoro. A conti fatti, dunque, sono già in tutto e per tutto ‘lavoratori ‘agili’ circa il 7% dei dipendenti tra dirigenti, quadri ed impiegati, segnando così un clamoroso aumento del 40% rispetto al 2013, anno in cui in Italia il concetto di smart working era poco più che un sussurro nei soli corridoi delle multinazionali. Ancora oggi, del resto, la prestazioni smart sono caratteristica peculiare delle grandi aziende, mentre nell’universo delle Pmi questa nuova modalità deve ancora prendere slancio: qui, infatti, solo il 5% dei business ha realizzato dei progetti di questo tipo durante il 2016.Soprattutto nel mondo delle piccole e delle medie imprese, manca ancora oggi una solida cultura del lavoro flessibile. Il pensiero che un impiegato che lavora all’esterno dell’ufficio rende di meno è infatti un pregiudizio difficile da eliminare».
Rimane ancora da analizzare la situazione lavorativa a fronte del nuovo Ddl. I dati relativi al 2016 comunicano infatti che il dipendente ‘agile’ in Italia è nel 69% dei casi di sesso maschile, ha mediamente 41 anni ed è occupato perlopiù del settentrione (tra gli impiegati smart individuati in Italia il 52% vive infatti al Nord, il 38% al Centro e il 10% al Sud).
«Con questa nuova regolamentazione dello smart working i numeri potrebbero però cambiare» ha continuato a spiegato Adami «in quanto tra il Ddl sembra confezionato appositamente per aiutare quelle donne che ad oggi rinunciano ad un’occupazione stabile per evitare di allontanarsi ogni giorno dalla propria abitazione e dai propri figli».
Uno degli esempi migliori in Italia è Enel: dopo una partenza sperimentale con 500 dipendenti che hanno avuto la possibilità di lavorare lontano dai propri uffici per un giorno alla settimana, si è passati alla fase vera e propria dell’iniziativa, che ha visto entrare in modalità smart working ben 7.000 dipendenti in tutta Italia.
Quando si parla di digitalizzazione del mondo del lavoro e di Industria 4.0, del resto, si parla in fin dei conti anche di questo: la tecnologia deve e può essere al servizio sia dei lavoratori che delle imprese, per un miglioramento reciproco.