L'approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nel 2021 è stato un momento molto importante per il nostro Paese, tracciando la rotta degli investimenti pubblici fino al 2026 con un impegno finanziario di prim’ordine da parte dell'Unione Europea.
Uno dei settori che ha ricevuto più risorse è quello dei
rifiuti, con oltre 2 miliardi di euro, coadiuvato dalle riforme principali
della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare (SNEC) e del Programma
Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR).
Tuttavia, senza un intervento decisivo dello Stato, molte
delle iniziative previste rischiano di non trasformarsi in realtà effettiva,
rimanendo confinate alla carta. Questo è il parere del think
tank REF Ricerche, che con il suo Position Paper "PNRR e rifiuti: dal PNGR
alla strategia nazionale", ha messo in evidenza le criticità
dell'attuale strategia nazionale, ponendo l’accento sull’assenza di una visione
complessiva per stimolare le iniziative territoriali e per riequilibrare
l’allocazione dei fondi, destinata prevalentemente a progetti nel centro-nord.
LA DISTRIBUZIONE DEI FONDI PNRR NEL SETTORE RIFIUTI E I
RISCHI
La suddivisione dei 2,1 miliardi di euro previsti dal PNRR
per il settore dei rifiuti ha un orientamento chiarissimo verso le iniziative
pubbliche, che ricevono il 71% dei fondi.
Questi sono destinati principalmente al potenziamento delle
raccolte differenziate, al trattamento e riciclo, allo sviluppo di impianti
innovativi.
Al contrario, la componente privata ha un ruolo molto più
marginale, che si concentra sui cosiddetti “Progetti Faro” di economia
circolare.
Dal paper elaborato da REF, la criticità più grande riguarda
un’allocazione delle risorse non completamente allineata con i fabbisogni delle
diverse regioni italiane, in particolare quelle meridionali.
La concentrazione degli investimenti in determinate aree del
Centro-Nord ha sollevato una serie di interrogativi sulla coerenza tra le
risorse assegnate e le reali necessità di gestione dei rifiuti. Da quanto si
legge nel paper, sembrerebbe mancare una logica chiara nella selezione dei
progetti e di programmazione, che rischia di compromettere l'efficacia del
Piano.
I LIMITI DI UNA STRATEGIA “SCRITTA DAL BASSO”
In assenza di una programmazione sovraordinata in grado di
indicare compiutamente i fabbisogni, i divari territoriali e i relativi deficit
impiantistici, la strategia del PNRR è stata dunque scritta “dal basso”. La mancanza di consapevolezza sulle reali
necessità dei territori si è tradotta – in taluni casi – in progettualità di
mera opportunità, persino non coerenti con i fabbisogni, il cui risultato è
quello di accrescere i divari territoriali anziché ridurli.
In tal senso, emblematico è il caso del trattamento del
rifiuto organico, destinatario di interventi e fondi anche in regioni (come
Lombardia, Veneto e Piemonte) che già presentano una dotazione di impianti
eccedente rispetto ai fabbisogni regionali e di macroarea, e al contrario il
caso di regioni (come Lazio e Campania), che pur pagando un deficit
impiantistico e di efficienza non hanno visto finanziato alcun intervento.
È evidente, quindi, che una parte dei finanziamenti a
impianti per il trattamento del rifiuto organico avrebbero potuto essere
destinati ad altre filiere, come i RAEE, dove la raccolta è tutt’ora al di
sotto del potenziale e la filiera del trattamento presenta ancora margini di
sviluppo, ovvero le plastiche, ove un sostegno più capiente al riciclo
meccanico avrebbe certamente giovato. Parimenti, si sarebbe potuto puntare sul
revamping di impianti di compostaggio già esistenti, cercando di sostenere il recupero
energetico anche negli impianti che ne sono attualmente sprovvisti, così da
rafforzare l’indipendenza energetica del Paese e rafforzare la gestione
complessiva del ciclo dell’organico.
Relativamente alla coerenza con i fabbisogni territoriali,
l’assorbimento della maggior parte delle risorse da parte dei progetti
impiantistici con un più elevato impegno finanziario, in poche regioni
italiane, rischia di depotenziare la portata complessiva del Piano, rendendo la
realizzazione degli investimenti un’occasione sì preziosa, ma non così
determinante, per chiudere i divari presenti.
Le evidenze suggeriscono che avrebbe giovato un maggior
coinvolgimento degli operatori, i quali più dei soggetti pubblici hanno una
visione chiara dei deficit e dei fabbisogni.
Anche dal bilancio degli investimenti per il riciclo
discende come non basti destinare centinaia di milioni di euro alla
realizzazione di nuovi impianti per migliorare il ciclo di gestione. Senza
un’adeguata strategia industriale, codificata in una programmazione
sovraordinata e affiancata da un’opportuna strumentazione economica e dalla
capacità degli Enti locali di declinarla rispetto alle esigenze del territorio,
non possono essere poste le condizioni per assorbire i flussi di prodotti
riciclati, secondo logiche di efficienza.
Un ulteriore tema cruciale è, quello, dello scenario
regolatorio, vale a dire se gli impianti finanziati dal PNRR sono sottoposti
alla regolazione delle tariffe di trattamento di ARERA o se competono
liberamente sul mercato. Per le frazioni
a recupero, le tariffe regolate andrebbero previste unicamente per gli impianti
e i territori, ove rilevano rigidità strutturali documentate e/o documentabili,
per il tempo strettamente necessario a superare i fallimenti del mercato. Per
una maggiore chiarezza sul tema, tuttavia, è utile che la prevista revisione
del TUA declini compiutamente le direttrici strategiche dello sviluppo
impiantistico per le diverse filiere e trovi una sintesi tra i principi di
tutela dell’ambiente e di libera attività imprenditoriale, al fine di aumentare
il livello di certezza giuridica che agevoli l’operato dei gestori e gli
investimenti.