Il professor Marco Raugi insegnerà Sustainable Energy Communities. "In Italia la burocrazia frena le rinnovabili, ma qualcosa si sta muovendo. Con le comunità energetiche anche nei grandi Comuni da 100mila abitanti potremmo tagliare un 20-30% di elettricità oggi prodotta da fonti fossili"
"Non è solo la prima in Italia, è la prima al mondo". Marco Raugi rivendica con orgoglio la cattedra in "Comunità energetiche" istituita presso l'Università di Pisa e lanciata alla vigilia dell'estate. Raugi, ingegnere elettronico e Prorettore dell'ateneo toscano per la Ricerca applicata e il Trasferimento tecnologico, sarà dunque il primo professore universitario a tenere un corso in Sustainable Energy Communities, grazie anche al sostegno dell'Unesco.
Professor Raugi, come è nata l'idea di una cattedra in comunità energetiche?
"L'Unesco da molti anni ha attivato una rete di enti di ricerca e istituzioni che conducono attività d'eccellenza. Nel mondo ha sostenuto la nascita di diverse centinaia di cattedre universitarie coerenti con le sue strategie di medio e lungo termine, solo in Italia ce ne sono 40. Noi abbiamo proposto il tema delle comunità energetiche e l'idea è stata approvata".
Perché le comunità energetiche sono così importanti, in un contesto di crisi climatica e crisi energetica, da dedicare loro un corso universitario?
"Il vantaggi sono due, uno sociale e uno tecnologico. Dal punto di vista sociale, i singoli cittadini diventano produttori di rinnovabili. Possono così capire quanto è importante l'energia e abituarsi all'idea di condivisione: se ne generi troppa la puoi cedere ad altri... Penso che questo potrebbe contribuire a far crescere la consapevolezza ambientale nelle persone. Dal punto di vista tecnico, se avessimo comunità energetiche anche in grandi Comuni, per esempio da 100mila abitanti, potremmo tagliare un 20-30% di elettricità oggi prodotta da fonti fossili, anche se ci limitassimo ai soli consumi domestici".
Ma qual è la situazione in Italia?
"Siamo molto indietro. Abbiamo una ventina di comunità energetiche costituite, a fronte del centinaio già operative in Germania. Però qualcosa si sta muovendo. Anche le compagnie elettriche stanno cominciando a costituire società specializzate nel fornire servizi alle comunità energetiche".
Quali sono gli ostacoli che da noi frenano il fenomeno?
"La burocrazia, come spesso accade nel nostro Paese. C'è molta incertezza sulle normative vigenti, stiamo recependo le direttive europee ma mancano i decreti attuativi. In generale, la normativa italiana attuale è abbastanza restrittiva".
Ci fa un esempio?
"In Italia il numero di chi si può associare in una comunità energetica è limitata dal tetto di 1 megawatt di potenza. Tetto che frena la possibilità di aggregazione, ma per questo tipo di iniziative il fattore di scala è importante. Se si pensa che una utenza domestica è da 3 chilowatt, bastano 300 appartamenti per raggiungere il tetto previsto. Se poi si aggiungessero aziende o altre realtà più energivore, il tetto verrebbe facilmente superato. Questa soglia andrebbe innalzata. In Germania, per esempio, non c'è alcun tetto".
Ma c'è una logica nelle restrizioni italiane?
"Nel caso del tetto alla potenza, il timore è che il sistema elettrico nazionale possa essere messo in difficoltà: ci sarebbe una proliferazione di centri di produzione di elettricità e i sistemi distribuiti sono belli però sono più diffidi da controllare. Poi c'è l'aspetto frodi, purtroppo assai frequenti nel nostro Paese: la legge italiana cerca di tutelare i soci delle comunità energetiche, che potrebbero essere truffati da qualcuno che non paga le sue quote".
È tutto questo a scoraggiare enti e realtà locali nel costituire comunità energetiche?
"C'è sicuramente un problema di informazione: i Comuni o non sanno di queste opportunità, oppure non hanno gli strumenti per sfruttarle e non sanno a chi rivolgersi".